martedì 1 marzo 2011

DERMATITE DIGITALE

Ogni allevatore purtroppo ha avuto modo di conoscere questa malattia del piede bovino, in quanto si tratta di una patologia estremamente diffusa in molti allevamenti italiani e comunque presente in quasi tutte le stalle, dove più e dove meno. La dermatite digitale infatti è praticamente endemica nell’allevamento intensivo della vacca, tanto da essere conosciuta in tutto il mondo (mal comune mezzo gaudio, si diceva una volta).
Al di là però del riconoscerne l'esistenza nel proprio allevamento o in quello del vicino, quello che a noi davvero importa è comprendere meglio i meccanismi alla base della sua comparsa. Questo ci aiuterà davvero a minimizzare la sua sgradita presenza in stalla.
La dermatite digitale (DD per gli amici e da qui in poi DD anche per comodità) è una malattia infettiva molto contagiosa che può arrivare a infettare più del 90% della mandria, in assenza di un'adeguata prevenzione. Questa percentuale spaventosamente alta non è solo un dato riportato su qualche libro di podologia bovina, ma è la situazione reale nella quale mi trovo personalmente io, visitando le stalle di molti allevatori.
Allora, di cosa si tratta nello specifico? La DD è una malattia infettiva, contagiosa, causata dai batteri presenti nel terreno. Quali batteri? Non ha molta importanza. Si tratta infatti di un mix, un bell'intruglio di vari batteri presenti semplicemente nel terreno dove le vacche tengono i piedi per la maggior parte del tempo. Non si tratta di batteri particolarmente pericolosi e aggressivi se presi uno per uno o in piccoli gruppi. Ma quando la quantità di questi batteri è molto elevata, quando le condizioni ambientali nelle quali si trovano le vacche (in questo caso le caratteristiche del terreno) sono particolarmente favorevoli ai batteri, e quando gli stessi piedi delle vacche sono resi maggiormente sensibili alle infezioni, ecco quando si verifica una combinazione di questi fenomeni (cosa non difficile), allora compare la DD.
Cosa succede esattamente nel piede di una vacca costretta ad esempio a soggiornare per diverse ore al giorno in un terreno sporco, pieno di feci, molto umido e magari anche con una temperatura mite? La prima cosa che vi viene in mente: la cute macera. Detto in modo più scientifico lo strato cheratinico superficiale (quello che difende il corpo da tutto ciò che sta al di fuori di esso) si fissura, aprendo le porte all’ingresso in profondità dei microrganismi, il pH locale si altera, le barriere fisiche e chimiche della pelle vengono meno.
Dall'altra parte il terreno ricco di umidità e degli elementi nutritivi contenuti nelle feci diventa per i batteri una specie di centro benessere, una vera spa. Loro si moltiplicano e prosperano, mentre i piedi delle vacche continuano a macerare in quello stesso ambiente. Ora il gioco è fatto e i batteri hanno il massimo vantaggio per fare il salto di qualità: andare a vivere e gioire sui piedi delle vacche, causando finalmente la vera e propria DD.
Come fa la DD a contagiare più animali? Prima di tutto gli animali contagiati sono esposti alle stesse condizioni ambientali, quindi gli stessi fattori che hanno fatto ammalare un piede, sono lì ben presenti e pronti a farne ammalare un altro. Ma non si tratta solo di questo. Infatti quando la DD colpisce una vacca, questo stesso animale diviene un “incubatore” vivente per altri batteri. Ossia la presenza di un animale malato aumenta di per sé la carica batterica del terreno e aumenta quindi la probabilità che altri animali si ammalino. Più animali si ammalano, più batteri vengono eliminati (o meglio depositati) nel terreno. Si entra quindi in un circuito di auto-amplificazione del fenomeno.

Non basta un solo fattore per far esplodere la DD in allevamento: ci vuole un terreno sporco, umido ed eventualmente a temperatura mite. In particolare, a questo riguardo ho notato che la stagione migliore per osservare spaventose recrudescenze di DD in un allevamento “portato” a questa malattia, sia tra settembre e ottobre, quando la temperatura non è più elevatissima ma ricomincia a piovere molto. In generale la DD è più probabile durante periodi poco soleggiati, caratterizzati eventualmente anche da basse temperature e da grande umidità (come in certe settimane dell'inverno lombardo di pioggia, neve, nebbia), piuttosto che durante la piena estate ad esempio, quando i paddoc sono così asciutti da sembrare in terra battuta.
Per quanto riguarda la componente animale, devo dare per assodati tutti quei bei discorsi triti e ritriti circa il fatto che questa malattia, come tutte le malattie, si innesca meglio quando il sistema immunitario è un po' incerto (stress, cattiva alimentazione, ecc.). Tuttavia, a parte questi soliti e ben noti concetti, volevo aggiungere un' osservazione personale. Recentemente sono stato in una stalla con una mandria di circa 60 vacche in produzione di cui 55 erano brune e 5 erano frisone. In questa stalla venivano effettuati sporadicamente i lavaggi podali. Allora: delle 55 bovine di razza bruna soltanto 3 (circa il 5%) avevano una leggera forma di DD. Delle 5 frisone invece, tutte avevano la DD in forma media o grave. E' quindi la frisona una razza maggiormente esposta alla DD per qualche sua caratteristica genetica? E' forse la razza bruna, dotata di grande rusticità rispetto alla frisona, ad essere per sua natura resistente alla DD? Una delle due cose, o forse entrambe.
Comunque, genetica o no, stress o no… se state con i piedi immersi tutto il giorno in un fango umido pieno di feci, la DD forse vi viene pure a voi.

Cosa succede al piede bovino colpito da DD? Abbiamo detto che inizialmente si tratta di una colonizzazione da parte di vari batteri sulla cute più o meno macerata e fissurata del piede. La prima cosa evidente è che la malattia risulta piuttosto dolorosa e determina zoppicature.
Quando le lesioni sono molto estese e presenti da lungo tempo, si possono raggiungere vere e proprie alterazioni della forma del piede e degli appiombi.
A volte inoltre, quando la localizzazione è nella parte davanti del piede, la dermatite può infiltrarsi sotto l'unghia dando luogo a lesioni molto estese, molto dolorose e molto difficili da guarire.
A questi livelli la DD non è più solo “digitale”, ma può interessare tutta la cute del piede, unghielli inclusi.
Le localizzazioni più alte, dove invece il resto del piede appare abbastanza sano, sono probabilmente legate al fatto che l'acqua delle vasche non arriva a disinfettare quelle zone.
C'è una cosa però che mi interessa porre alla vostra attenzione. Un’ osservazione personale della quale però fino a ora non ho trovato riscontro su nessuna pubblicazione. Ritengo che spesso la dermatite vada ad infettare lesioni come ulcere e malattie della linea bianca (sobbattiture) ritardandone o impedendone la guarigione. Dico questo per due motivi. I primo è che ho notato in questi anni una maggior difficoltà a far guarire le lesioni in stalle relativamente pulite ma con elevata presenza di dermatite rispetto a stalle più sporche ma che facevano un'adeguata profilassi (facevano i bagni podali routinariamente). In secondo luogo per la somiglianza delle lesioni presenti sulla pelle rispetto a quelle presenti sul vivo, oltre che per il fatto che spesso si trovano presenti contemporaneamente sul piede malato. Questa osservazione non è solo un'astratta disquisizione accademica ma ha anche alcuni interessanti risvolti pratici. Infatti in questi casi applicare un bendaggio che tiene a contatto della ferita un antibiotico o un disinfettante per alcuni giorni (3 o 4 giorni, non settimane!) aiuta a guarire la lesione. Ricordiamoci infatti che “l'infezione è il principale antagonista della guarigione di una ferita”. I principi che uso sono gli stessi che si possono usare per la medicazione delle dermatiti tout cort.
Il trattamento specifico delle singole vacche con antibiotici applicati localmente è certamente importante nei casi più gravi o più ostici a guarire. Tuttavia, vista l'enorme diffusione che può avere la DD nella mandria, la chiave per risolvere il problema sta nel trattamento generale di tutti gli animali. Questo trattamento generale, una volta che il fenomeno della DD in stalla sia stato risolto o comunque contenuto, diviene poi prevenzione: una misura routinaria che consentirà di avere da poco a pochissimo a che fare con la DD. Sto parlando dei bagni podali.
Purtroppo la confusione circa questa pratica è da Guinnes dei primati ed io per questo cercherò di fissare alcuni punti.
1) I principi attivi dei bagni podaliLa formalina è sempre stata la prima scelta perchè non solo è in grado di prevenire la diffusione della malattia ma è in grado di curare le lesioni già presenti unendo a questo un prezzo veramente conveniente. Il problema è che non solo è molto irritante ma anche cancerogena e quindi va maneggiata con estrema cura e riservata solo a chi ha la vasca in post-mungitura lontano dalla porta di uscita per evitare che i vapori che salgono dai piedi delle mucche o che possono essere spinti in sala da correnti d'aria possano nuocere al personale di mungitura. Per quello che riguarda la diluizione è qui che si concentrano gli errori. La concentrazione corretta è il 2% espressa in grammi di prodotto su litro. Le soluzioni che si trovano in commercio sono al 24% quindi per ottenere la concentrazione corretta nella nostra vaschetta dobbiamo diluirla 1/10 cioè 1 litro di prodotto ogni 10 di acqua (10 litri di soluzione di formalina ogni 100 di acqua). Devo però precisare che la formalina permette pochi errori: diminuendo la concentrazione perde rapidamente di efficacia così come aumentandola troppo (il doppio) si rischiano delle ustioni (anche se sarebbe più preciso dire causticazioni). È fondamentale quindi conoscere l'esatta capienza della vasca (spesso calcolata a occhio con grossolani errori). Questa si può determinare prendendo le misure o riempiendola utilizzando canestri da 20/25 litri. Una considerazione sulle vasche: è meglio fare delle strutture fisse in cemento magari con due cordoli in un passaggio obbligato in maniera tale che gli animali si abituino alla loro presenza, piuttosto che usare quelle rimovibili. Spesso le vacche le percepiscono come elementi estranei ed essendo “vacche” non ci passano neanche ammazzandole. Spesso vi si fermano davanti o tentano di saltarle, rallentando le operazioni di mungitura o rischiando di farsi male. Per quanto riguarda le misure della vasca la lunghezza ideale dovrebbe consentire all'animale di fare due passi nella soluzione (questo purtroppo non si realizza mai) e dovrebbe avere un altezza tale da coprire anche gli unghielli.

Per quanto attiene alla cadenza con cui fare i bagni, essa dipende da caso a caso anche in relazione all'entità del problema. Un approccio aggressivo in presenza di tanti animali ammalati può essere di due giorni di trattamento consecutivi (4 passaggi in caso di 2 munte) eventualmente sostituendo la soluzione disinfettante dopo i primi 2 passaggi. Un approccio di mantenimento può scendere a un giorno alla settimana o meno a seconda della risposta degli animali e del clima. É da tenere presente inoltre che l'efficacia della formalina è influenzata dalla temperatura: sotto i 15°C perde rapidamente efficacia, rendendone difficile l'uso in inverno.
Il solfato di rame per contro non è sensibile alla temperatura ma va usato in quantità superiori (5-7Kg/100litri) e la soluzione disinfettante andrebbe lasciata praticamente sempre rinnovandola però a giorni alterni. Inoltre è decisamente meno efficace essendo più attivo nella prevenzione del contagio piuttosto che nella cura degli animali malati. Queste considerazioni unite al costo decisamente elevato del prodotto ne limitano l'utilizzo.

Recentemente alcune stalle che frequento hanno iniziato a usare l'ipoclorito di sodio (candeggina). Con una soluzione di 10-15 Litri ogni quintale di acqua per 2 giorni alla settimana rinnovando la soluzione dopo 2 passaggi hanno ottenuto risultati incoraggianti anche se bisogna dire che venivano da una situazione con pochi animali ammalati. La cosa sicuramente interessante è il costo estremamente basso del prodotto che unito alla sua bassa tossicità lo rendono di facile e poco costoso impiego.

Esistono poi sul mercato molti prodotti il cui principale difetto e rappresentato dal costo più o meno elevato come gli allevatori non mancano mai di ricordarmi. Spesso sento gli allevatori lamentarsi che il prodotto funziona poco ma quando indago su come lo usano scopro che per risparmiare ne usano la metà della dose per la metà delle volte prescritte dalle istruzioni. In questo caso sì che buttate i vostri soldi perchè il prodotto lo avete pagato il lavoro lo avete fatto ma non ottenete i risultati (mia nonna diceva “cornuti e mazziati!”).

Sempre in tema di prevenzione consiglio sempre a chi acquista nuovi animali di farli passare nel lavapiedi prima di introdurli nel gruppo. Non dimentichiamoci che stiamo parlando di una malattia infettiva e come tale può essere introdotta in stalla da animali portatori. Mi è capitato spesso di sentire allevatori che mi chiedevano come avessero fatto a infettare la stalla e parlandone è saltato fuori che proprio poco prima dell'inizio del problema avevano comprato animali. Oppure come in seguito all'introduzione di nuovi capi ci fosse stato un aggravarsi del problema (probabilmente a causa dell'intoduzione di ceppi batterici diversi).

2) La terapia sul singolo animale.
Essendo la dermatite una malattia superficiale non necessita di antibiotici iniettabili ma risponde molto bene alle terapie locali. La lesione deve essere pulita bene, meglio se strofinata energicamente con un pezzo di benda di juta possibilmente pulito (occhio ai calci) in maniera da esporre la zona malata. Normalmente gli spray blu funzionano egregiamente. Io preferisco spraiare la zona due o tre volte lasciando asciugare il prodotto alcuni secondi tra una passata e l'altra in maniera da stratificarlo. Dare fuoco per pochi secondi allo spray (chiudendo la bomboletta!!!) ha il solo effetto di ridurre i tempi di asciugatura mentre non ha alcun effetto terapeutico. Non dimentichiamoci che i batteri stanno nella pelle e per ucciderli col calore significherebbe ustionare l'animale creando così un danno maggiore della dermatite stessa. In casi ostinati o di dimensioni notevoli ho ottenuto eccellenti risultati con una leggera medicazione da lasciare in sede 2 o 3 giorni. Lo scopo della benda infatti è quello di mantenere a contatto della ferita il disinfettante per più tempo. I principi attivi che io uso sono la polvere antibiotica e recentemente lo iodoformio in polvere. Entrambi con eccellenti risultati (fino al 100% di guarigioni) anche se trovo lo iodoformio più comodo. Non è un antibiotico quindi non ho problemi di tempi di sospensione ed è in vendita libera senza ricetta. Non so voi ma meno scartoffie ho meglio sto.